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i Grandi del Bologna

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2022

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FANTABOLOGNA

IL BOMBER
DAL DESTINO MALEDETTO

La vita di Cesare Alberti è un romanzo.

Breve, tragico, maledettamente incompiuto.

Sbatterci contro significa perdersi in un vortice di domande, a cominciare da quelle più banali e prevedibili,

quelle che tentano impossibili risposte

ai “se fosse” e ai “se avesse”.

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CESARE ALBERTI

San Giorgio di Piano, il 30 agosto 1904   ♣  Genova, il 14 marzo 1926   ♣  Riposa in Certosa, nel Chiostro IX sotterraneo, corsia est, loculo 4 ordine n. 87

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Saranno anche passati ottant’anni da quando smise di pensare al calcio, almeno a quello giocato, ma se uno nomina Angelo Schiavio, a Bologna tutti capiscono al volo. Succede, quando ci si trasforma da campione in leggenda. Eppure, discreto com’era, “Anzlèin” si sarebbe schernito immediatamente: per lui il pallone era una passione immensa, ma la vita era anche altro e lo dimostrò spendendola bene, da imprenditore di successo, dopo la parentesi sportiva. Dicendo sempre che era stata anche una questione di fortuna. Minimizzando, quando numeri e ricordi ne facevano (e ne fanno) il numero uno della storia rossoblù.

Pure, nelle parole del campione c’era un fondo di verità. La fortuna è indovinare il momento e avere sempre un po’ di vento alle spalle, quanto basta per permettere al carattere di fare il resto. La fortuna è quella che ha dato tanto a Schiavio, paradossalmente togliendo molto di più al suo predecessore: Cesare Alberti.

A Cesare Alberti, che fu un bomber devastante, ma che fece appena in tempo a mostrare i suoi lampi di classe prima di volare via da questa terra ancora giovanissimo.

Troppo presto perché poi il suo nome restasse scolpito nella memoria.

Cesare Alberti era un fenomeno vero. Uno dei famosi “ragazù della nidiata coltivata da Angelo Badini, campione e trascinatore di un Bologna di pionieri, che con un occhio rivolto ai giovani di fatto sviluppò la squadra che avrebbe poi conquistato il primo scudetto della storia rossoblù, nel 1925. Talento da vendere e una carriera da campione che pareva già scritta. Nella sua vita incrociò gloria, fama, buio, rinascita, tragedia. Rileggiamola, questa vita luminosa e fugace come una cometa.

Cesare nasce nella Bassa, a San Giorgio di Piano, il 30 agosto 1904. Arriva a bazzicare lo Sterlino seguendo il fratello minore Guido, mezzala del Bologna dal 1912 al 1915, che un’epidemia porterà via a ventun’anni, durante la Grande Guerra, nel 1918.

Centravanti purissimo, talento cristallino, dalla nidiata di Angiolino Badini approda giovanissimo alla prima squadra, grazie all’intuito di Herman Felsner. Lo chiamano già “Mimmo”. Nel gruppo è mascotte e fuoriclasse insieme.

Debutta a sedici anni, e in 17 partite del campionato di Prima Categoria realizza 13 reti.

L’anno dopo ne fa 14 in 22 partite, e nella terza stagione da titolare è già a 5 su 6, quando arriva la mazzata.

È la stagione 1922-23, il Bologna gioca in casa con la Cremonese e Alberti si fa male al ginocchio.

Sembra un problema da niente, un mese dopo è di nuovo in campo. Ma il dolore è forte, e nuovi esami rivelano un danno apparentemente insormontabile: rottura del menisco.

Un pugno nello stomaco: c’era già una maglia azzurra pronta per lui. Aveva anche risposto, poco prima, a una convocazione della Nazionale Operaia, una “sperimentale” che aveva schiantato la rappresentativa francese: 7-1, con sei reti firmate da lui.

I sogni si infrangono all’improvviso. Un’operazione al menisco, in Italia, non è mai stata tentata. Non ci crede nemmeno il Bologna, che lo svincola lasciandolo libero e ne perde le tracce. Un anno dopo Cesare è a Genova, dove un noto chirurgo, il professor Federico Drago, gli prospetta un intervento di asportazione del menisco. Operazione largamente sperimentata in Inghilterra, ma in Italia quella di Mimmo sarà una prima volta assoluta.

Funziona: nella stagione 1924-25 il campione è di nuovo in campo, ad ottobre. Ma il rossoblù è un altro: a offrirgli il contratto è stato il Genoa di William Garbutt, che aveva sostenuto l’operazione accollandosi tutte le spese per l’intervento del giovane campione. In quella stagione Alberti rinasce, segnando dieci reti in venti partite. La via del gol non è smarrita. Il destino vuole che sia proprio lui ad aprire le marcature nella prima delle cinque storiche finali tra Bologna e Genoa del 1925, allo Sterlino. I tifosi bolognesi lo chiamano traditore, ma lui non lo merita. Il Bologna nutriva ben poche speranze in un suo ritorno al calcio. Quello che è riuscito a riconquistare, è sudato e guadagnato.

Cesare sembra destinato a una nuova vita calcistica. Era dato per finito ed ha saputo rinascere, accettando una grande sfida. Il Genoa perde lo scudetto, ma lui ha ritrovato la vena. La stagione successiva inizia alla grande: otto reti in undici partite. Sembra una favola a lieto fine, e invece la tragedia è in agguato. Lo colpisce in modo banale, assurdo: un’infezione virale, causata a quanto pare da un piatto di ostriche mangiato in compagnia dei compagni del Genoa in un ristorante, alla vigilia della sfida col Torino. Pare, appunto: perché qui il racconto si fa romanzo d’appendice. C’è di mezzo una donna misteriosa, bellissima e volubile, a cui Mimmo aveva appena detto addio poche ore prima della cena fatale con i compagni. Nessuno dei quali, va detto, si è sentito male dopo aver mangiato. A poco più di vent’anni puoi avere una passione, anche intensa, ma lui è ancora innamorato di Caterina, la figlia di Rinaldi, il custode dello Sterlino. È lei la donna della sua vita. Cesare sentiva il bisogno di chiarire. Il mistero è intorno a quelle ore, a quella donna. La passione che brucia l’amore vero. Quella donna che nemmeno andrà a cercarlo in ospedale, dopo. Né si presenterà al funerale. E che in quattro e quattr’otto chiuderà il negozio che gestiva e sparirà per sempre dalla città. Nel dramma, un filo spesso di mistero.

Mimmo Alberti muore nella notte del 14 marzo 1926, a soli ventun’anni. L’età in cui se ne era andato anche il fratello Guido.

Poche settimane dopo, la sua Caterina si uccide gettandosi dalla finestra di casa, vicino ai Giardini Margherita.

Sembra uno di quei racconti scritti soltanto per stupire il lettore. Invece è una storia dannata, unica, incredibile. Tragicamente vera. È la storia del bomber che lasciò una strada aperta al ragazzo che lo sostituì nell’attacco del Bologna. Quel ragazzo era proprio Angiolino Schiavio. E pensare a quello che avrebbero potuto fare insieme, quei due fenomeni del pallone, lascia un senso di profondo rimpianto.

 

di Marco Tarozzi

Cesare Alberti, fratello minore di Guido, anch'egli calciatore, fu un centravanti di straordinarie doti e di micidiale sfortuna, si affermò giovanissimo nel Bologna Calcio come straripante uomo-gol, prima di essere fermato da un infortunio al ginocchio.

Il suo esordio in campionato avvenne il 24 ottobre 1920, in occasione della partita Spal-Bologna (0-3).

Era all’apice della carriera, ormai pronto per la Nazionale, quando si infortunò, il 12 novembre 1922, nella vittoriosa partita contro la Cremonese (3-0).

Scrisse il giorno dopo la “Gazzetta dello Sport”: «In questo primo tempo Alberti è stato costretto a uscire dal campo per un calcio ricevuto al ginocchio: è rientrato dopo 12 minuti ma appena all’inizio della ripresa ha dovuto lasciare il campo definitivamente».

Sembrava un infortunio di poco conto e Alberti tornò in campo un mese dopo, il 10 dicembre 1922, a Tortona, ma dovette abbandonare il campo e la diagnosi fu terribile: rottura del menisco, all’epoca inoperabile. Dunque: abbandono dell’attività e addio al sogno di debuttare in maglia azzurra.

Il Bologna gli concesse la lista gratuita, di lui per oltre un anno non si sentì più parlare.

Trasferitosi a Genova, nel 1924 un medico locale, il professor Federico Drago dell’Ospedale San Martino, gli propose l’intervento chirurgico di asportazione del menisco, che allora nessuno in Italia aveva ancora tentato, mentre era già largamente praticato con successo in Inghilterra anche su atleti di grido. L’operazione riuscì, il Genoa offrì un contratto ad Alberti e la “Gazzetta dello Sport” così ne annunciò il rientro: «L’esperimento più interessante, e non dal punto di vista sportivo soltanto, sarà l’inclusione di Alberti, il valoroso centre-forward (centravanti, ndr) del Bologna. È noto che questo fortissimo giocatore è assente da oltre un anno dai campi di gioco per una contusione al ginocchio. Nel Regno Unito un inconveniente del genere è eliminato con una estirpazione di cartilagine e ogni anno sono parecchi i giocatori di cartello che subiscono questa operazione che nella grandissima parte dei casi ridà la primitiva attitudine. E poiché l’operazione su Alberti, fatta da un valente chirurgo genovese, assai benemerito anche nel campo dello sport, è riuscita dal lato chirurgico ottimamente, si spera che il suo caso rientrerà nella grande maggioranza e che il foot-ball italiano potrà contare su un valentissimo giocatore in più». In effetti il 19 ottobre 1924, terza giornata di campionato, Cesare Alberti era di nuovo in campo, in Genoa-Hellas 2-0. In quella stagione totalizzò 20 partite e 10 reti e tra l’altro si ritagliò un altro curioso primato. Fu lui infatti, realizzando il 24 maggio 1925 al 12’ del secondo tempo, la prima rete nella prima partita delle famose cinque-finali, a… istituire la “legge dell’ex”, cioè la tradizione dell’ex giocatore che va in gol quando incontra la vecchia squadra. In proposito, ricordava Enrico Sabattini nelle sue memorie di testimone diretto: «Finita la partita ci fu un po’ di parapiglia perché alcuni scalmanati bolognesi inscenarono una dimostrazione ostile (a base di grida “traditore!”) contro il buon “Mimmo” (soprannome di Alberti, ndr), reo null’altro che di aver compiuto il suo dovere di calciatore. Ma alla sera stessa, auspice Arpinati, proprio nella vecchia trattoria gestita dalla famiglia Alberti in via degli Usberti ci fu un incontro chiarificatore che dissipò tutte le nubi ed i giocatori petroniani espressero all’ex compagno di squadra tutta la loro stima e la loro inalterata amicizia».

Purtroppo un crudele destino attendeva di lì a nemmeno un anno il fuoriclasse recuperato: alle quattro del mattino del 14 marzo 1926, con già 8 reti all’attivo in 11 partite, moriva a soli 21 anni per una intossicazione alimentare, dovuta a cozze avariate.

Riposa in certosa, nel Chiostro IX sotterraneo, corsia est, loculo 4 ordine n. 87

 

Presenze e reti in rossoblù 45; reti 32.

1920-21 Prima Categoria, 17; presenze, 13 reti;

1921-22 Prima Categoria, 22 presenze, 14 reti;

1922-23 Prima Divisione, 6 presenze, 5 reti.

di Carlo Felice Chiesa

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Cesare Alberti allo Sterlino con alcuni compagni
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 La lapide che ricorda i Caduti del Bologna BFC nella Grande Guerra '15-'18 

Lapide ai Caduti del Bologna FC.png

Il docufilm di Orfeo Orlando, che narra la breve vicenda umana di Cesare Alberti

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